Giudiziaria

Strage via D’Amelio, Borsellino quater: depositate motivazioni sentenza

I giudici escludono che la trattativa abbia accelerato l'uccisione di Borsellino: ma la strade resta ancora un mosaico con alcune parti in ombra

Pubblicato 3 anni fa

“Non può condividersi l’assunto difensivo secondo cui la ‘Trattativa Stato-mafia’ avrebbe aperto ”nuovi scenari” in relazione alla ”crisi dei rapporti di Cosa Nostra con i referenti politici tradizionali” e al possibile collegamento fra ”la stagione degli atti di violenza” e l’occasione di ”incidere sul quadro politico italiano” con riferimento a coloro che ”si accingevano a completare la guida del paese nella tornata di elezioni politiche del 1992”. Invero, gli elementi acquisiti nel presente procedimento consentono di affermare che l’uccisione del giudice Paolo Borsellino, inserita nell’ambito di una più articolata ”strategia stragista” unitaria, sia stata determinata da Cosa Nostra per finalità di vendetta e di cautela preventiva”.

Lo scrivono i giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta che, nella sentenza del processo ‘Borsellino quater’ di secondo grado escludono nelle 377 pagine delle motivazioni che la trattativa abbia accelerato l’uccisione di Borsellino.

“Ed è anche logico affermare che vi sia stata una finalità di ”destabilizzazione” intesa ad esercitare una pressione sulla compagine politica e governativa che aveva fino a quel momento attuato una drastica politica di contrasto all’espansione del crimine organizzato mafioso”, scrivono i giudici . ”Deve essere ritenuta ancora attuale la valutazione espressa dai Giudici Supremi in seno alla prima sentenza emessa nel procedimento Borsellino ter relativamente alla incidenza che la cosiddetta ”trattativa Stato-mafia” avrebbe avuto sulla deliberazione della strage di via D’Amelio anche alla luce delle ulteriori acquisizioni probatorie cristallizzate nel presente procedimento”, dicono ancora i giudici.

Nel novembre 2019 la Corte d’Assise d’appello di Caltanissetta, confermando la sentenza di primo grado ed accogliendo le richieste della Procura generale, condannò all’ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i 5 uomini della scorta. Condannati a 10 anni i “falsi pentiti” Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. Così come aveva fatto la Corte d’assise presieduta da Antonio Balsamo anche in appello i giudici avevano dichiarato estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato a Vincenzo Scarantino. “Deve dunque escludersi la sussistenza di elementi probatori idonei a fare ritenere che vi sarebbe stata, per la sola strage di via D’Amelio, una sorta di ”novazione” della deliberazione di morte, tale da avere determinato una soluzione di continuità rispetto alla precedente deliberazione stragista risalente alla riunione degli ‘auguri di fine anno 1991’, scrivono i giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta nella sentenza depositata nei giorni scorsi in cancelleria”, scrivono i giudici della Corte d’assise d’appello. E aggiungono: ”Allo stato, comunque, il quadro probatorio appare immutato rispetto a quello già considerato dalla Suprema Corte di Cassazione nella richiamata pronuncia del 2003, non sussistendo altri elementi probatori per dire che la strage di via D’Amelio abbia avuto una causale diversa dalla matrice mafìosa o che la stessa sia ascrivibile ad un contesto deliberativo diverso da quello accertato nel corso del presente procedimento, nel quale si inscrive il protagonismo dell’imputato appellante’’.

“La strage di via D’Amelio rappresenta indubbiamente un tragico delitto di mafia, dovuto a una ben precisa strategia del terrore adottata da Cosa nostra, in quanto stretta dalla paura e da fondati timori per la sua sopravvivenza a causa della risposta giudiziaria data dallo Stato attraverso il maxiprocesso”. Lo scrivono i giudici del processo d’appello ‘Borsellino quater’ nella sentenza depositata nei giorni scorsi a Caltanissetta. “Ogni tentativo della difesa di attribuire una diversa paternità a tale insana scelta di morte e terrore non può trovare accoglimento – dicono i giudici – potendo, al più, le emergenze probatorie indurre a ritenere che possano esservi stati anche altri soggetti o gruppi di potere interessati alla eliminazione del magistrato e degli uomini della sua scorta”. “Ma tutto ciò- dicono – non esclude la responsabilità principale degli uomini di vertice dell’organizzazione mafiosa che, attraverso il loro consenso tacito in seno agli organismi deliberativi della medesima organizzazione, hanno dati causa agli eventi di cui si discute”.

“Le emergenze probatorie acquisite nel procedimento costituiscono singoli pezzo di un mosaico che, nel suo complesso, continua a rimanere in ombra in alcune sue parti. Basti pensare alla ‘scomparsa misteriosa’ dell’agenda rossa del magistrato e alla ricomparsa della borsa stessa in circostanze non chiarite nell’ufficio di Arnaldo La Barbera”. Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise d’appello di Caltanissetta, nella sentenza di secondo grado del processo ‘Borsellino quater’. La sentenza, emessa nel novembre 2019, ha confermando la sentenza di primo grado ed accogliendo le richieste della Procura generale, ha condannato all’ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati il primo come mandante ed il secondo come esecutore della strage in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i 5 uomini della scorta. Condannati a 10 anni i “falsi pentiti” Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. Così come aveva fatto la Corte d’assise presieduta da Antonio Balsamo anche in appello i giudici hanno dichiarato estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato a Vincenzo Scarantino. In 377 pagine i giudici ripercorrono le tappe della vicenda. E si soffermano soprattutto sulle “persistenti zone d’ombra e sulla paternità mafiosa della strage”. Tra le ombre citate dai giudici ci sono anche gli “uomini ‘sconosciuti’ sul luogo del delitto e nell’immediatezza dello stesso e i un uomo ‘estraneo a Cosa nostra’ al momento della consegna dell’autovettura Fiat 126 da parte di Gaspare Spatuzza”. E ancora “gli uomini incaricati di provvedere al successivo caricamento della stessa di esplosivo”. E si riferiscono alla “vicenda Mutolo e all’interruzione del suo interrogatorio e al successivo incontro da parte del giudice Borsellino con il dottor Contrada”. Ma i giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta sottolineano anche che non si hanno elementi in grado di adombrare profili di erroneità nella ricostruzione del momento deliberativo della strage e nella configurazione della ‘paternità mafiosa’ della stessa”. 

“Le numerose dichiarazioni raccolte dai testi escussi hanno rivelato numerose contraddizioni che non è apparso possibile superare, gettando al tempo stesso l’ombra del dubbio che altri soggetti possano essere intervenuti sul luogo della strage, nell’immediatezza dell’esplosione, ‘in giacca’ nonostante la calura del mese estivo e l’ora torrida, non appartenenti alle forze dell’ordine e individuati anzi da taluni agenti intervenuti nella immediatezza come ‘appartenenti ai servizi segreti'”. Lo scrivono i giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta nelle motivazioni del processo ‘Borsellino quater’. “E tale ultimo particolare appare ancora più inquietante se si considera che ‘di un uomo estraneo a Cosa nostra’ ha riferito anche il collaboratore Gaspare Spatuzza, indicandolo come presente nel magazzino di via Villasevaglios, il pomeriggio precedente la strage, veniva consegnata la Fiat 126 che sarebbe stata, di lì a poco, imbottita di tritolo”, aggiungono. Il boss mafioso di Brancaccio “Giuseppe Graviano aveva impartito ulteriori direttive a Gaspare Spatuzza circa il furto delle targhe di una Fiat 126, chiedendogli tassativamente di compierlo il sabato 18 luglio 1992, in orario di chiusura delle officine o delle concessionarie, evitando effrazioni , al fine di ritardare il più possibile la relativa denuncia di furto che sarebbe stata presentata solo il lunedì successivo, e di consegnargliele la stessa sera”. Lo scrivono i giudici della Corte d’asssise di appello di Caltanissetta nelle motivazioni del processo ‘Borsellino quater’ depositate presso la cancelleria.

“Non è sufficiente che il proposito di rendere dichiarazioni calunniose sia stato ingenerato nell’imputato Vincenzo Scarantino da una serie di discutibili e inquietanti e iniziative poste un essere da alcuni investigatori che hanno esercitato in modo distorto i loro poteri, con il compimento di una serie di forzature, tradottesi in indebite suggestioni e nella agevolazione di una impropria circolarità tra diversi contribuiti dichiarativi, tutti radicalmente difformi dalla realtà”. A scriverlo sono i giudici della Corte d’assise d’apppello di Caltanissetta nelle motivazioni del processo ‘Borsellino quater’. (Adnkronos)

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