Giudiziaria

“Utilizzavano cellulari in carcere”, una condanna e un rinvio a giudizio 

Una condanna e un rinvio a giudizio nei confronti dei due imputati agrigentini coinvolti nella maxi inchiesta

Pubblicato 2 mesi fa

Una condanna e un rinvio a giudizio nei confronti dei due imputati agrigentini coinvolti nella maxi inchiesta sull’uso dei cellulari da parte dei detenuti nel carcere di Bologna.

Lo ha deciso il gup del tribunale del capoluogo emiliano Roberta Malvasi. Otto mesi di reclusione soni stati inflitti a Carmelo Nicotra, 42 anni, di Favara. L’imputato, difeso dall’avvocato Salvatore Cusumano, aveva scelto la via del rito abbreviato come la maggior parte delle persone a processo. Il pubblico ministero, a margine della requisitoria, aveva chiesto la condanna del favarese a dieci mesi e venti giorni di reclusione. Il giudice per l’udienza preliminare ha invece disposto il rinvio a giudizio nei confronti di Antonino Chiazza, 54 anni, di Palma di Montechiaro. L’imputato, difeso dall’avvocato Giovanni Lo Monaco, comparirà il prossimo 19 giugno davanti il giudice Claudia Gualtieri per la prima udienza del processo che si celebra col rito ordinario.

Ad entrambi gli imputati agrigentini viene contestato il reato di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti. A Nicotra viene addebitato l’utilizzo di due cellulari con rispettive sim nel maggio 2022; identica contestazione è stata mossa a Chiazza con i fatti che sarebbero avvenuti nell’ottobre 2021. Sia Nicotra che Chiazza sono personaggi noti alle forze dell’ordine. Il primo è stato condannato a tre anni e otto mesi nell’inchiesta Mosaico, l’indagine che fece luce su una faida tra Favara e Liegi. Lo stesso Nicotra fu vittima di un agguato nel 2017 a cui scampò miracolosamente. Due mesi fa, dopo aver scontato interamente la condanna, è tornato un uomo libero. Chiazza, invece, è stato arrestato nell’operazione Xidy, la maxi inchiesta sul mandamento mafioso di Canicattì e sulla riorganizzazione della Stidda, organizzazione della quale lo stesso – secondo l’accusa – sarebbe esponente di vertice.  Il processo di primo grado è ancora in corso ad Agrigento

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