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Mafia, processo Montagna: chiesta nullità del rinvio a giudizio di Maniscalco

Nuova udienza del processo Montagna dedicata alle arringhe difensive. Fra le discussioni particolarmente impegnativa è stata quella riguardante la posizione di Domenico Maniscalco, 53 anni di Sciacca, difeso dall’avvocato Giovanni Castronovo.  Domenico Maniscalco, imprenditore edile di Sciacca, viene arrestato dai carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento nel blitz Montagna il 22 gennaio 2017. Per gli […]

Pubblicato 5 anni fa

Nuova udienza del processo Montagna dedicata alle arringhe difensive. Fra le discussioni particolarmente impegnativa è stata quella riguardante la posizione di Domenico Maniscalco, 53 anni di Sciacca, difeso dall’avvocato Giovanni Castronovo. 

Domenico Maniscalco, imprenditore edile di Sciacca, viene arrestato dai carabinieri del Comando Provinciale di Agrigento nel blitz Montagna il 22 gennaio 2017. Per gli inquirenti è il braccio destro di Totò Di Gangi, storico boss di Sciacca. I militari dell’Arma, durante l’arresto, gli trovano in casa 49.200 euro in contanti. Subito dopo l’arresto (unico tra gli imputati nell’attuale processo) la Corte di Cassazione annulla per ben due volte (la prima con rinvio) l’arresto disponendone la scarcerazione. Maniscalco però compare anche nelle carte di un’altra inchiesta (Kronos) dei carabinieri di Catania che “fotografano” un summit tra i capi mandamento nel catanese. L’incontro avviene il 6 febbraio 2016 e, secondo gli inquirenti in quel momento, a rappresentare il mandamento della montagna sono Calogerino Giambrone (deceduto nei mesi scorsi) e proprio Maniscalco. In quella riunione ci sarà anche il capo del mandamento di San Mauro Castelverde, Antonio Giovanni Maranto. 

Contestazioni queste a cui l’avvocato Castronovo, in quasi due ore di discussione, ha fornito una visione opposta a quella prospettata dall’accusa. Il legale ha preliminarmente chiesto che venga ritenuto nullo il  rinvio a giudizio nei confronti di Maniscalco. Secondo la difesa, infatti, mancherebbe il decreto che dispone la riapertura delle indagini dopo l’archiviazione che Maniscalco, finito già nel mirino degli inquirenti per mafia prima dell’operazione Montagna, aveva incassato nel 2015. Difesa che è entrata anche nel merito delle contestazioni mosse dall’accusa sostenendo che i presunti summit altro non fossero che incontri dettati da natura professionale (come l’affitto di un magazzino) o di natura personale (come nel caso della famiglia Di Gangi) e la tentata estorsione contestatagli altro non fosse che un preventivo conveniente per una fornitura edile. Si torna in aula il 29 aprile.

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