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Berlinguer a cento anni dalla nascita

di Enzo Di Natali (storico)

Pubblicato 1 anno fa

Per capire la segreteria politica di Enrico Berlinguer occorre avere presenti alcuni fatti che avvennero in Italia e all’estero soprattutto negli anni ’60: il rapporto Krusciov, che fece conoscere le atrocità di Stalin, la primavera di Praga, il Concilio Vaticano II, il Maggio francese del ’68; in Italia, le riforme sociali (agraria, sanitaria, scuola, pensioni, lavoro…) cambiarono l’assetto strutturale dello Stato risorgimentale. Nacque un nuovo modo di concepire il datore di lavoro: non più il freddo sangue-‘suga’ di padrone ma l’imprenditore che crea lavoro e sviluppo. Negli anni ’60, la società italiana era cambiata, e anche la politica dei comunisti aveva bisogno di subire un’evoluzione che prendesse le distanze da Mosca. Occorreva chiudere l’esperienza togliattiana fortemente legata ai sovietici. A seguito del rapporto Krusciov, la letteratura italiana aveva demitizzato lo stalinismo, ad esempio Leonardo Sciascia.

I comunisti italiani dovevano scegliere un cammino autonomo e diverso da Mosca, e per tal ragione, Berlinguer riscoprì e valorizzò Antonio Gramsci che già prima del fascismo aveva compreso l’esigenza di un partito che guardasse alla realtà italiana dove era ampiamente presente la componente cattolica.

Enrico Berlinguer comprese che, essendo la società cambiata nell’arco di un ventennio, per i fatti sopra menzionati, bisognava che lo stesso partito si aprisse al cosiddetto ceto medio e ai cattolici progressisti che vivevano con difficoltà la loro rappresentanza politica nella Democrazia Cristiana, in special modo negli anni ’70, che furono anni davvero convulsi e problematici. La DC, agli occhi del settore più vivace del cattolicesimo, sembrava che avesse smarrito quella forza propulsiva e il potere fosse a servizio del potere stesso e non per applicare la sociologia cristiana.

E per accogliere il consenso dei cattolici progressisti, soprattutto dopo il referendum sul divorzio, che sancì la spaccatura tra i cattolici italiani, Berlinguer rispose alla lettera del Vescovo mons. Bettazzi, con cui diceva la motivazione secondo la quale un cattolico non potesse votare PCI. Berlinguer, dopo alcuni anni d’intenso dibattito, tolse la professione atea al Partito, lasciando libertà di coscienza.

I comunisti quarantenni compresero che senza questa apertura, prima o dopo, con la fine di Pietro Nenni, ormai anziano, i socialisti avrebbero avuto la centralità della politica nella sinistra italiana, così com’era avvenuto prima del ventennio fascista. I socialisti aspettavano la fine di Nenni e l’avvento di un nuovo giovane leader, che sarà Bettino Craxi. Al fine di evitare una emorragia elettorale, bisogna mettere la sordina al partito ereditato da Togliatti.

Il compromesso storico e la cosiddetta terza via italiana al socialismo furono il risultato di questo nuovo percorso berlingueriano che fu strategicamente l’unica strada obbligata da seguire che risulterà vincente soprattutto dopo l’ascesa di Craxi e il suo tentativo di realizzare il terzo polo laico socialista, in alternativa più al PCI di Berlinguer che alla DC di De Mita.

Si rimane perplessi che a quasi quarant’anni dalla morte non è stata pubblicata alcuna biografia davvero scientifica.

Oggi la sinistra, e soprattutto il PD, non ha capito nulla dell’insegnamento di Berlinguer, tanto che, all’interno del Partito, è prevalsa, soprattutto sui temi etici, la linea radicale della Cirinnà, che afferma ‘Dio, Patria e Famiglia, vita di merda’, senza contare gli errori commessi sui temi cari al ceto medio. La senatrice Paola Binetti, cattolica convinta, dovette lasciare il Partito.

La sinistra italiana naviga in un mare di confusione: è senza alcuna meta, si è affidata ad ex magistrati che diventano improvvisamente leader, mentre la politica, cammina su altri binari. Infine, seguendo il modello berlusconiano, tipico della società liquida, rinunziò al partito radicato sul territorio, da cui traeva consensi.

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