Giudiziaria

L’omicidio del marmista di Cattolica Eraclea, al via il processo-bis

Ennesimo capitolo giudiziario di una vicenda che ha sconvolto la piccola comunità dell’agrigentino e che, ad oggi, non ha ancora avuto un epilogo

Pubblicato 2 settimane fa

Il processo-bis sull’omicidio di Giuseppe Miceli, il marmista di Cattolica Eraclea ucciso il 6 dicembre 2015 all’interno del suo laboratorio in via Crispi, si aprirà il prossimo mese. La prima sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo ha fissato l’udienza per il 23 ottobre. Si tratta dell’ennesimo capitolo giudiziario di una vicenda che ha sconvolto la piccola comunità dell’agrigentino e che, ad oggi, non ha ancora avuto un epilogo. Sul banco degli imputati siede Gaetano Sciortino, un operaio di Cattolica Eraclea, difeso dagli avvocati Santo Lucia e Giovanna Morello.

L’uomo, arrestato due anni dopo il delitto, venne condannato in primo grado a 24 anni di reclusione nonostante la richiesta di ergastolo avanzata dalla procura di Agrigento. Il verdetto fu poi “cancellato” in Appello con una sentenza di assoluzione “perchè il fatto non sussiste”. Cinque mesi fa un nuovo colpo di scena con l’intervento della Suprema Corte che, accogliendo la richiesta del procuratore generale Giuseppe Fici e dell’avvocato di parte civile Antonino Gaziano, annullò l’assoluzione disponendo un nuovo processo da celebrarsi davanti altra sezione della Corte di Assise di Appello.

La vicenda risale alla fine del 2015 quando il cadavere del marmista fu rinvenuto all’interno del suo laboratorio. Chi ha agito lo ha fatto con estrema efferatezza, utilizzando come armi del delitto alcuni attrezzi e un’acquasantiera in marmo. Gaetano Sciortino venne arrestato dai carabinieri due anno dopo il delitto. Ad “incastrarlo” – secondo l’ipotesi accusatoria – ci sarebbero stati alcuni elementi: il ritrovamento di una scarpa in un’area rurale la cui impronta sarebbe compatibile con quella repertata dai Ris sulla scena del crimine; il presunto pedinamento del giorno precedente e la distruzione di alcune punte da trapano da parte dei figli dell’imputato (intercettati) che appartenevano alla vittima. L’impianto accusatorio aveva trovato parziale accoglimento nel giudizio di primo grado quando della Corte d’Assise di Agrigento condannò Sciortino a 24 anni nonostante la Procura avesse chiesto la pena dell’ergastolo. In Appello la ricostruzione degli inquirenti fu completamente smontata e l’imputato venne assolto “perché il fatto non sussiste”. Adesso il nuovo processo.

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