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La mafia ai tempi del coronavirus: 16 fermi

I vertici mafiosi hanno anche tentato di accreditarsi quali benefattori in grado di fornire aiuti alla popolazione in tempo di Covid

Pubblicato 3 anni fa

La Dda di Palermo ha disposto il fermo di 16 persone accusate di associazione mafiosa, tentato omicidio, estorsioni, danneggiamenti, minacce aggravate, detenzione abusiva di armi da fuoco. L’indagine, coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e condotta dal Nucleo Investigativo dei carabinieri di Palermo, riguarda il “mandamento” mafioso di Tommaso Natale e, in particolare, le “famiglie” di Tommaso Natale, Partanna Mondello e ZEN – Pallavicino. Tra gli indagati anche un capomafia storico: Giulio Caporrimo che, tornato in liberta’ dopo una lunga detenzione, a maggio 2019, ha dovuto fare i conti con la nuova leadership di Francesco Palumeri, asceso al vertice del clan dopo la riorganizzazione degli assetti mafiosi seguita agli arresti disposti con l’inchiesta Cupola 2.0.

I fermi. Francesco Adelfio, 39 anni; Andrea Barone, 21 anni; Carmelo Barone, 60 anni; Marcello Bonomolo, 48 anni; Pietro Ciaramitaro, 33 anni; Giuseppe Cusimano, 38 anni; Francesco Finazzo, 66 anni; Sebastiano Giordano, 23 anni; Francesco L’Abbate, 47 anni; Andrea Mancuso, 23 anni; Francesco Palumeri, 61 anni; Giuseppe Rizzuto, 34 anni; Baldassarre Rizzuto, 25 anni; Antonino Vitamia, 56 anni; Michele Zito, 47 anni. 

Caporrimo, dopo essere stato scarcerato, si e’ ritrovato a dover sottostare a Palumeri del quale, pero’, secondo gli inquirenti, non avrebbe mai riconosciuto la leadership e che non avrebbe ritenuto all’altezza dell’ incarico. Il boss, emerge sempre dall’inchiesta, contestava anche le decisioni assunte dai nuovi vertici del clan perche’ contrarie all'”ortodossia” mafiosa e a una delle regole principali dell’organizzazione: quella secondo la quale si e’ mafiosi fino alla morte e si mantiene il proprio incarico di vertice anche durante la detenzione. Non considerando Palumeri un reggente, riottenuta la liberta’, Caporrimo ha deciso di stabilirsi a Firenze per prendere le distanze dall’organizzazione che, nelle intercettazioni, arrrivava a definire non “cosa nostra” ma “cosa come vi viene”. L’allontanamento da Palermo del capomafia ha confermato la piena operativita’ delle decisioni prese dalla nuova commissione provinciale.

E Palumeri, in quanto portavoce e vice del boss Calogero Lo Piccolo, figlio dello storico padrino Salvatore Lo Piccolo, ha acqusito il titolo per imporsi sul suo rivale. Cosa nostra, organizzazione verticistica disciplinata da “regole” precise, si e’ trovata davanti a un bivio (Bivio e’ anche il nome dell’indagine): accettare l’ organismo provinciale della commissione, oppure, rimettere in discussione tutto attraverso le persone piu’ carismatiche nel tempo rimesse in liberta’, come Caporrimo. Dopo aver trascorso un periodo di isolamento a Firenze, Caporrimo l’11 aprile del 2020 e’ tornato a Palermo riuscendo in poco tempo ad accentrare nuovamente su di se’ i poteri dell’intero “mandamento” ed evitando gli spargimenti di sangue che pure era disposto ad affrontare. Appoggiato dalla sua base mafiosa sul territorio (si sono rivelati suoi fedeli alleati Antonino Vitamia – capo della famiglia di Tommaso Natale, Franco Adelfio – uomo d’onore di Partanna Mondello, e Giuseppe Cusimano – ai vertici della famiglia ZEN/Pallavicino) tornato a Palermo, ha dunque ripreso in mano le redini del mandamento. 

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