Mafia

Le famiglie mafiose dell’agrigentino e la “mediazione” di Matteo Messina Denaro

Nelle motivazioni della sentenza sulla "stragi" emerge il ruolo del superlatitante nell'agrigentino negli anni novanta

Pubblicato 3 anni fa

Le tensioni tra la famiglia mafiosa di Sciacca e quella di Ribera. I progetti di uccisione di alcuni agenti penitenziari agrigentini in servizio a Pianosa. Il ruolo primario e di egemonia di Matteo Messina Denaro anche nelle dinamiche interne alle famiglie mafiose agrigentine. Le intercettazioni emerse all’interno del consorzio “Sciacca Terme” e molto altro. Sono tutti elementi che spiccano nelle oltre mille pagine di motivazioni depositate negli scorsi giorni dai giudici della Corte di Assise di Caltanissetta alla base della condanna all’ergastolo inflitta al superlatitante, riconosciuto tra i mandanti delle stragi del 1992. Ed è proprio nel ripercorrere la storia di Messina Denaro che emerge un rapporto “speciale” con il territorio agrigentino con particolare riferimento a Sciacca, Ribera, Montevago, Sambuca di Sicilia e i territori del belice nei primi anni novanta.

Si legge nelle motivazioni della sentenza sulle stragi del 1992:In ordine al ruolo ricoperto da Matteo Messina Denaro merita particolare menzione la sentenza n 75/96 del Tribunale di Sciacca del 16 luglio 1996 (processo Avana) contro vari esponenti della mafia agrigentina. Tale sentenza si fonda su una serie di intercettazioni ambientali che hanno coinvolto gli uomini d’onore di Sciacca, in particolare, oltre a Salvatore Di Gangi, due suoi pretoriani, Ignazio Ambla e Accursio Dimino nell’ambito temporale che va dalla seconda metà del 92 ai primi del 93. Come riferito anche dal collaboratore Giovanni Brusca i predetti personaggi, avevano diretti rapporti con Matteo Messina Denaro (p.34/35 udienza 12 dicembre 2017). Dalle intercettazioni riportate nella sentenza (definita con la condanna di Ambla e Dimino) risultano particolarmente rilevanti in quanto gli uomini d’onore della famiglia agrigentina considerano palesemente Matteo Messina Denaro come il soggetto posto a capo della provincia di Trapani nel corso del 92, venne un’influenza anche sulle questioni riguardanti le altre province. In particolare Messina Denaro fu incaricato da Riina al fine di trovare una pacificazione tra i vari appartenenti all’organizzazione mafiosa di Agrigento, in perenne contrasto dopo la morte di Peppe Colletti, avvenuta, durante la guerra di mafia condotta dai corleonesi, a Ribera il 30 luglio 1983.”

E ancora:La circostanza che Messina Denaro svolgesse il ruolo di capo della provincia di Trapani in sostituzione del padre Francesco emerge chiaramente nella cosiddetta sentenza “Avana” emessa dal tribunale di Sciacca il 16 luglio 1995. E’ bene precisare che detto processo, svoltosi a carico di Di Gangi e altri, ha visto molti soggetti della mafia agrigentina (tra cui Di Gangi, rappresentante del mandamento di Sciacca, Giuseppe La Rocca, della famiglia di Montevago, Ignazio Ambla e Accursio Dimino) imputati per avere in concorsoo con altri uomini d’onore (tra cui lo stesso Messina Denaro) partecipato all’associazione di tipo mafioso denominata “Cosa Nostra” al fine di commettere vari delitti quali omicidi, incendi, danneggiamenti, estorsioni. Il reato risultato essere stato commesso tra il 21 dicembre 1992 e l’ottobre 1993 tra Sciacca, Ribera, Montevago ed altri comuni facenti parte del territorio agrigentino e trapanese, ivi compreso il comune di Castelvetrano. Giova precisare che sui predetti imputati Di Gangi, Ambla e Dimino ha riferito, nel coro del presente processo (il 2 dicembre 2017) il collaboratore Giovanni Brusca. In particolare il Brusca ha affermato che i soggetti in questione avevano rapporti diretti con Matteo Messina Denaro (“contatti un po’ con tutto il trapanese, perché c’era pure un interesse da parte di Mariano Agate sulla calcestruzzo, quindi avevano rapporti un po’ con tutti”). E’ da aggiungere che nella sentenza “Avana” si ricostruiscono – sulla base delle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia quali Cancemi, La Barbera, Di Matteo ed altri, nonché sulla base di numerose intercettazioni ambientali effettuati pazziando microspie presso il Consorzio di prodotti di conglomerato cementizio denominato “Sciacca Terme” – le vicende della mafia locale, costituita da diversi gruppi, in contatto con i corleonesi di Totò Riina ed i suoi uomini più fidati tra cui Giovanni Brusca e Matteo Messina Denaro. Ed infatti dalla citata sentenza si afferma testualmente che le conversazione captate rendono “conto, in funzione dei relativi contenuti, dell’esistenza a Sciacca di un gruppo mafioso facente capo a Salvatore Di Gangi […]; moltissimi degli stessi colloqui danno a loro volta contezza dell’insediamento in Ribera di altro analogo gruppo facente capo a Simone Capizzi […] come anche in Montevago si registra l’esistenza di simili clan con a capo Giuseppe La Rocca”. Deve inoltre rilevarsi ce nella citata sentenza si evidenzia come dalle intercettazioni “emerga l’avvenuta costituzioni di analoghi raggruppamenti” in altri comuni come Sambuca di Sicilia, Santa Margherita Belice, Burgio ecc. Si precisa, tuttavia, che “tutti i diversi gruppo null’altro sono che famiglie di Cosa Nostra e che i vari clan sono indissolubilmente legati ai corleonesi di Totò Riina e hanno, come diretti referenti, Matteo Messina Denaro e i Brusca di San Giuseppe Jato. I rapporti tra i gruppi in questione, tuttavia, risultavano essere caratterizzati da accesi contrasti. L’organizzazione centrale, ed in particolare Totò Riina, intervenne per comporre vari dissidi incaricando Messina Denaro di “mediare” tra le varie famiglie della provincia agrigentina, sempre in subbuglio dopo la morte di Giuseppe Colletti, ucciso a Ribera il 30 luglio 1983. Più in particolare, vi era uno scontro che vedeva contrapporsi i Di Gangi di Sciacca alla famiglia Capizzi di Ribera, che reclamava un ruolo in provincia proporzionato alla “forza militare”; vi erano, inoltre, le rivendicazioni avanzate con riguarda a Ribera da parte di Di Caro di Canicattì. Totò Riina ebbe, quindi, ad incaricare Messina Denaro di mediare e di intervenire per evitare che le varie questioni  degenerassero in una vera e propria guerra armata. L’importanza della sentenza “Avana” riguarda proprio tale ruolo di mediatore di Messina Denaro, riconosciuto dagli stessi interlocutori delle conversazioni intercettate come “il rappresentante della provincia di Trapani” in sostituzione del padre Francesco.” 

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