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Mafia a Licata, arrestato il massone Vito Lauria dopo sentenza di condanna

Assolto in primo grado in appello prende otto anni di carcere

Pubblicato 2 anni fa

E’ stato catturato l’indomani dell’emissione della sentenza della Corte d’Appello di Palermo (Terza sezione penale presieduta dal giudice Antonio Napoli) che ha ribaltato il verdetto di primo grado trasformando un’assoluzione in una condanna ad otto anni di reclusione.

Si sono riaperte le porte del carcere di Agrigento, dunque, per Vito Lauria, 52enne tecnico informatico, massone, figlio del boss Giovanni (detto “u prufissuri”), imputato eccellente del processo “Assedio – Halycon” che ha svelato trame sinora mai indagate sulla mafia di Licata e sugli intrecci “pericolosi” con politica, imprenditoria e massoneria.

La Corte d’appello, accogliendo la richiesta avanzata dal sostituto procuratore generale Maria Teresa Maligno, ha deciso la condanna di tutti i dieci imputati, non solo quella di Lauria. E lo stesso procuratore generale ha provveduto a richiedere, immediatamente dopo la lettura della sentenza, una misura cautelare in carcere che è stata ottenuta ed eseguita dai carabinieri di Licata guidati dal tenente Augusto Pterocchi.

Particolarmente rilevante la posizione di quest’ultimo sia per l’appartenenza alla massoneria sia per essere il figlio del boss di maggiore spicco dell’area licatese, quel Giovanni Lauria che per lunghi anni è stato il vero braccio operativo del capomafia provinciale Giuseppe Falsone, poi catturato a Marsiglia dopo dieci anni di latitanza.

Vito Lauria intreccia la sua storia altresì con Lucio Lutri (condannato ad otto anni): entrambi hanno confermato di far parte della massoneria e che i loro contatti – hanno provato a chiarire durante il processo – erano riconducibili proprio a questa comune appartenenza.

Lutri, funzionario della Regione Sicilia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa –  scrivono i giudici –  “grazie alle rete relazionale a sua disposizione quale Maestro venerabile della loggia massonica “Pensiero ed Azione” di Palermo, avrebbe “acquisito e veicolato agli appartenenti alla famiglia mafiosa informazioni riservate circa l’esistenza di attività di indagine a loro carico” e sarebbe intervenuto per favori di altra natura.

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