Mafia

Mafia, la difesa dell’avvocato Porcello: “Realmente pentita”

L'avv. Scozzari stupito per il mancato inserimento della sua assistita nei programmi di protezione

Pubblicato 2 anni fa

Dopo le richieste di condanna, 20 in tutto, della Direzione distrettuale antimafia di Palermo proposte al Gup del Tribunale di Palermo, Paolo Magro, (si procede con il rito abbreviato) è tempo di arringhe difensive nell’ambito del processo scaturito dalla maxi inchiesta Xydi – eseguita dai carabinieri del Ros – che avrebbe fatto luce su intrecci tra Cosa nostra e Stidda nell’agrigentino nonché su una serie di estorsioni, in particolare nel settore delle mediazioni agricole.

Ieri, l’attenzione è stata calamitata soprattutto dall’avv. Giuseppe Scozzari che difende il personaggio eccellente del processo, un colletto bianco di spessore, ossia l’avv. Angela Porcello, già radiata dall’Albo, che rischia una pesante condanna, come da richiesta dei pubblici ministeri, a 18 anni di carcere.

Angela Porcello, a più riprese, ha manifestato la sua intenzione di collaborare “lealmente e pienamente” con la giustizia ed ha già sottoscritto numerosi verbali etero ed auto accusatori. Ma La Dda, come ha evidenziato lo stesso Scozzari, non ha ritenuto vero e pieno il pentimento della donna tanto è vero che in occasione della richiesta di condanna “i pubblici ministeri non hanno tenuto in alcun conto le dichiarazioni dell’imputata al punto da non concedere nemmeno le attenuanti speciali della dissociazione.

Eppure in passato – lascia intendere senza troppi misteri l’avvocato Scozzari – sono assurti al ruolo di pentiti riconosciuti dallo stato anche personaggi come l’architetto Tuzzolino, finito poi nella polvere ed arrestato che ha rovinato decine di professionisti prima di venire sconfessato quando ha calunniato dei magistrati:. Ma anche Leonardo Messina, Vincenzo Scarantino Non capisco come sia stato possibile che non sia stata presa neppure in considerazione l’ipotesi di un inserimento dell’avvocato Angela Porcello nel programma di protezione dei collaboratori di giustizia.

Il professionista per la sua assistita ha chiesto l’assoluzione per un capo d’accusa marginale e la condanna al minimo della pena in considerazione proprio del pentimento ancora oggi non riconosciuto. E nel corso dell’arringa difensiva non si è risparmiato nel ricordare ai giudici il contributo fornito da Angela Porcello rievocando le dichiarazioni di quest’ultima rivolte a Gup e pubblici ministeri con le quali comunica la sua totale dissociazione dalla mafia.

Questo il passaggio più importante: “Ritengo quanto mai opportuno che rimanga indelebilmente agli atti di questo processo che mi vede imputata e così al futuro. Le dichiarazioni che svolgo non senza timore e, comunque, non senza remore attese le conseguenze per la mia incolumità e per quella dei miei che so che potrebbero e possono derivare mirano a mettere in chiaro la mia posizione personale come donna ma soprattutto come imputata nei confronti dell’organizzazione criminale chiamata mafia. Mi pento profondamente innanzi alla Signoria vostra, il Pubblico ministero nonché devo dire anche dinnanzi i signori avvocati di essere stata componente, minuscola ruota di un gigantesco ingranaggio del sistema mafia nel territorio della provincia di Agrigento, mi pento anche e soprattutto nella mia coscienza religiosa, di donna, di madre e di figlia oltre che di imputata, e per il male profondo che ho fatto a mia figlia, a mia mamma, al povero mio papà deceduto mentre ero in vinculis l’1 giugno 2021, ed infine, ma è la cosa che meno mi interessa, a me stessa”.

Nei loro confronti finché avrò vita e coscienza non mi perdonerò mai, un pentimento frutto non di una folgorazione immediata come è accaduto a San Paolo sulla via di Damasco ma di una conversione progressiva, radicale e profonda, compiuta come un percorso fino alle radici del cuore e della coscienza, operato nel lungo e difficile periodo di isolamento e solitudine detentiva in cui vivo ristretta dal 3 maggio 2021, in cui vi dirò o ci si può perdere o ci si può ritrovare. Ebbene negli anni quasi venticinque del mio lavoro ho preso atto che da Cosa Nostra si esce per morte, perché si è posati usando il loro gergo o per rescissione o dissociazione, bene, ad oggi purtroppo, non sapete perché quanto l’ho auspicato, non sono ancora morta, non sono stata e comunque non intendo da questi soggetti essere né posata né altro, non voglio che nella mia vita abbiano rapporti con me, che agiscano per me o con me o contro di me, sono io che mi dissocio formalmente e sostanzialmente da loro, rescindendo ogni rapporto, ogni gesto, qualsiasi modo di vivere e di pensare. Condanno anzitutto quello che rappresenta e impersona quel mondo che è anche un modo di essere fatto di prevaricazioni, di soprusi, di ricatti e tutto quello che (inc.) attraversi quel modo di vivere e di fare. E tra i rapporti che rinnego e di cui mi vergogno primo fra tutti c’è quello invero già interrotto prima del provvedimento di fermo emesso in questo procedimento con l’uomo oggi coimputato che come lui sa bene e credo ricordi e ricorderà senza poterlo mai scordare nella sua vita ho amato infinitamente, quasi con abnegazione, fidandomi ciecamente, nei confronti di questi oggi non provo né odio né rancore, né come donna né come Imputata, perché questi disvalori che solo divorano e generano altro male non albergano e trovano posto e mai l’hanno trovato nel mio cuore, e lui dovrebbe saperlo, nei suoi confronti proprio invero provo pena e compassione, sì, perché io invero indietro per il dolore non posso girarmi, ma se guardo innanzi ho il bene e la luce, io ho pena per un misero uomo che non rispettandomi mi ha tradita ridicolizzandomi, usata, strumentalizzata, messa in ridicolo, le intercettazioni in cui lui stesso lo ammette sono state lette da tutti, parlano chiaro, così come le foto, senza avere la pur minima dignità di uomo se di uomo può parlarsi, di preoccuparsi di tutelare il mio ruolo di professionista e soprattutto di donna e di madre, che come ben sapeva viveva e vive solo per sua figlia. Ero accecata, è vero, da una persona rivelatasi spregevole, ma chi nella vita almeno una volta non si innamora della persona diciamo sbagliata? Io nel fare questo che oggi la ragione, la coscienza e il senso di giustizia rifiutano l’ho fatto in maniera sin troppo esagerata, è vero, ma l’ho fatto solo per il cuore, senza nessun altro intento. Ma sia chiaro, signor Giudice, signori pubblici ministeri, il mio misero e vergognoso coinvolgimento nell’organizzazione mafiosa in cui lui mi ha introitata e in cui poi io mi sono mossa bene è durato meno di due anni della nostra storia, che oggi non posso certo qualificare di amore, due anni di obnubilata follia nel corso dei quali non ho commesso alcun reato finalizzato all’arricchimento immorale o economico della mafia e meno che mai mio, mai, sono solo due anni nel corso dei quali, sì, ho sbagliato a porre in essere alcuni comportamenti, e non avrei dovuto, soprattutto per onorare quella toga che indossavo e che non indosserò mai più, ma sia ben chiaro la gravità delle mie condotte si possono riassumere in alcune violazioni deontologiche nel corso dei colloqui con i miei assistiti, mai di natura penale, perché non ho mai portato un pizzino e neppure un messaggio finalizzato alla commissione di un reato a nessuno, o fatto veicolare una determinazione o direttiva per azione illecita, meno che mai ho dato io una direttiva. Sono solo due anni nei quali altri hanno maldestramente organizzato tramite me riunioni tra mafiosi nel mio studio, che quella persona mi aveva subdolamente donato a Natale 2018, ma dove oggi comprendo aveva solo deciso di usarmi, si trattava di riunioni a poche delle quali ho preso parte personalmente, esponendo percorsi al massimo elusivi ma mai aderendo a ideazioni o azioni criminali tipiche mafiose, e il cui contenuto comunque e le cui dinamiche e le cui ragioni sono già stati oggetto delle dichiarazioni rese ai pubblici ministeri da me negli interrogatori effettuati. Due terribili anni in cui (inc.) sentimentale che ha ucciso la mia onestà prima e la mia anima e la mia vita poi mi hanno portato a porre in essere dei comportamenti riprovevoli che ammetto e di cui mi pento, anzi mi sono già pentita, in cui però non ho commesso e non ho istigato a commettere azioni criminali con armi, estorsioni, danneggiamenti o altro, invero ho solo preso parte di questa associazione criminale quale componente indotta da un rapporto con l’unico soggetto con il quale mi sono correlata e per ragioni esclusivamente sentimentali, che ha costituito il mio contatto associativo, la porta di ingresso nel buio e nell’illecito in cui mi sono mossa, quanto agli altri mi sono limitata a difenderli, niente di più, a incontrarli solo al mio studio e mai mai fuori da lì. Ecco, ai pubblici ministeri, al Pubblico Ministero presente in udienza, nel rispetto che nutro per lui e per la Procura dico quello che sapevo con precisione e rispetto della verità ve l’ho detto, e se me ne darete occasione continuerò a dirvelo qualora siate interessati nei limiti delle mie conoscenze, ma sappiate che il mio rapporto la mia fonte con quel mondo era limitata ad una sola persona, che come avete avuto modo di leggere e vedere oltre a strumentalizzarmi, mettermi in ridicolo socialmente, farmi da pigmalione, mi raccontava l’ovvio e a volte il noto, celandomi ciò che riteneva e che invece forse lui sa e sapeva. Non ho nel mio animo nessuna volontà e conoscenza di nascondere fatti per tutelare i soggetti che mi hanno ucciso e hanno ferito il cuore di mia figlia, se voi pensate che possa fare questo per cui non sussisterebbe comunque una ragione logica plausibile umana sentimentale e meno ancora giuridica sappiate che credo sarei ancora più spregevole di chi rimane fedele alla mafia perché avrei per la seconda volta ucciso la vita di mia figlia che questa volta non avrebbe alcuna ragione e motivo di perdonarmi, e che soprattutto non potrei più guardarla negli occhi, oggi invece mi sento libera da questi maledetti anni, libera da quel sentimento, libera di dire che la mafia fa schifo, libera di esprimermi come realmente il mio cuore mi indica tornato libero anche se solo materialmente ristretta in una lucidità riacquisita. Perché ho deciso di fare in questa sede questa pubblica dichiarazione? Perché, signor Giudice, la mafia che non è un’entità astratta ma ho imparato è fatta di uomini più vicini e conosciuti a noi di quanto si possa immaginare, vive, si nutre e prolifera spesso di gesti, di parole, di sottese solidarietà, di accondiscendenza, ma soprattutto come ho compreso e l’ho compreso di persona di consensi, di rispetto, di silenzi, in cui questo rispetto si concretizza, di abbassare la testa, che consentono di creare quella rete di rapporti criminali, ed io invece la testa non la abbasso, e se sono stata una di loro non lo sono e non lo sarò mai più. Ebbene questa mia dichiarazione vuole essere un contro-messaggio alla mafia, a questi uomini, a quanti anche guardano alla mafia e a quanti stanno tramite qualcuno per intraprendere questo cammino o per avvicinarsi a loro, e io da Imputata dico agli uomini della mafia sappiate che fa schifo, che uccide la dignità e la coscienza, devasta la persona e quelli che le stanno accanto senza accorgersene, e per questo poi non è più facile liberarsene. Ecco, questo mio piccolo gesto, l’unico che d’altronde posso e potevo effettuare vuole essere un gesto riparatore verso lo Stato, vuole essere un contributo che riscatti la mia coscienza, vuole essere un modo per chiedere scusa ai miei familiari prima di tutti, a quanti hanno perso la vita per combattere la mafia, per chiedere scusa a quello Stato, al mio ordine professionale e soprattutto per dire chi sono oggi, chi sarò, chi sono diventata e come voglio mi si ricordi. Signor Giudice, il mio è un percorso irreversibile di detenzione che vuole portare a quanti ho fatto del male a perdonarmi ed accogliermi, certo quando Dio e la giustizia me ne daranno l’opportunità. Io la ringrazio per avermi ascoltato e soprattutto perché di queste mie dichiarazioni ne resti traccia a voi, alla giustizia, a mia figlia, che si sappia chi sono oggi, che una buona persona se non lo sono stata lo torno ad essere, senza che mi importi cosa ne sarà di me e qualunque cosa succeda o succederà, e ciò non, signor Giudice, per le affermazioni e le dichiarazioni o per i giudizi espressi in quest’aula non ho paura o sono coraggiosa, anzi al contrario, o non nessuno per cui fuori da qui temere, anzi, ma perché il mio proposito di riparazione, di redenzione della mia conoscenza sono più forti e (inc.) su tutto, e per dimostrare e dire che se si scende nella vita si può risalire sempre ma solo attraverso la fede e la giustizia, che non possono mai, sono convinta, procedere separatamente.

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