Spettacoli

Al ”Pirandello” di Agrigento “Zorro” che non vuole essere “una pernacchia”

Prossimo appuntamento al Teatro del Caos il 25 giugno con “Il berretto a sonagli”

Pubblicato 2 anni fa

Non racconta nulla di nuovo “Zorro” di Castellitto-Mazzantini che è la coppia intellettuale più bella del mondo. Nella città del “sommo clochard” Luigi Pirandello (che volle essere “nudo sul carro dei poveri e le ceneri tumulate  in una rozza pietra della campagna di Girgenti”) si sono susseguiti sulla scena  nel corso di due anni ben due edizioni della parabola francescana di Gengè Moscarda e il pubblico dell’altra sera che, tutto in piedi, applaudiva “Zorro” di Castellitto era formato da cittadini di quell’Agrigento “fiore appassito dai petali calpestati” secondo il copyright del suo vescovo Francesco Montenegro.

Una città adusa e collusa con l’emarginazione, politicamente consapevole della “forbice Nord-Sud” e che nonostante sia esperta nell’organizzare vie crucis spettacolarizzando la morte e la resurrezione di Cristo, difficilmente trova il tempo di una sua resurrezione.

Castellitto ha chiarito alla stampa che “Zorro” è una “spernacchiata”.

Francamente non diremmo una spernacchiata semmai fa difetto a questa trasposizione scenica dal libro della Mazzantini una impostazione recitativa a valanga, un flusso di coscienza che si fa fatica ad assaporare e che induce a rileggersi il libro.

“L’uomo è un baratro e il suo cuore è un abisso” sta scritto nella Bibbia e se la Mazzantini scende in questo abisso derivandone il ritratto di una società in cui la povertà non è l’opposto della ricchezza ma della libertà, la trasposizione ci sembra fin troppo patinata, formalistica nonostante la  consumata recitazione di Castellitto i cui intenti certamente sono quelli di immergersi nella massa degli oppressi, essere uno di loro e schierarsi al loro fianco contro i tiranni.

Gli sprazzi di leggerezza esistenziale cui Zorro cerca di elevarsi sono risucchiati da una zavorra psicologica che blocca il costituirsi di relazioni e travolto dal peso di un corpo ( attratto da un cappio al collo) sentito come fonte di sofferenza e umiliazione.

Si ripete una storia di sfinimento che piace ai “poteri forti” (che lo preferiscono) e ne allontanano il riscatto. Ma questo vallo a raccontare agli ucraini, ai curdi e ai campesinos!!!

Qui rimane un doveroso ricordo di Zorro, clochard senza tetto né legge, ucciso  in una Torino sabauda, impietosa, razzista e di tutti gli Zorro uccisi sui marciapiedi del mondo.

Per la cronaca, il presidente della Fondazione Alessandro Patti  ha annunciato il prossimo appuntamento al Teatro del Caos il 25 giugno con “Il berretto a sonagli”, regia di Francesco Bellomo con Gianfranco Iannuzzo, Gaetano Aronica e Anna Malvica.

Foto di Diego Romeo

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