Catania

Anfore e tegole di epoca romana nelle acque di Catania (ft)

La Soprintendenza del Mare, in collaborazione con il 3° Nucleo Subacqueo della Guardia Costiera di Messina diretto dal comandante Giuseppe Simeone e supportato da mezzi nautici della Capitaneria di Porto di Catania e dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Riposto, ha proceduto ad esplorare mediante ROV, un veicolo filoguidato dalla superficie in grado di immagazzinare immagini, i […]

Pubblicato 5 anni fa

La Soprintendenza del Mare, in collaborazione con il 3° Nucleo Subacqueo della Guardia Costiera di Messina diretto dal comandante Giuseppe Simeone e supportato da mezzi nautici della Capitaneria di Porto di Catania e dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Riposto, ha proceduto ad esplorare mediante ROV, un veicolo filoguidato dalla superficie in grado di immagazzinare immagini, i fondali di Capo Mulini e Ognina per monitorare e controllare il carico di due antichi relitti che si sono inabissati in epoca romana.
Quanto ai due relitti, il primo – segnalato nel 2009 e completamente rilevato nel 2016 – giace su un fondale di circa 55 metri ed è caratterizzato dalla presenza di centinaia di anfore, di 5 tipologie diverse, che contenevano probabilmente vino e sono databili fra la fine del II secolo a.C. e la metà del I secolo a.C. Il secondo relitto – che è conosciuto fin dal 1986 e trasportava un carico di tegole rettangolari di grosso modulo (66 x 50 cm) con i bordi ad alette ripiegate e coppi semicircolari – giace, invece, su un fondale di circa 40 metri molto vicino alla costa nei pressi di Ognina. Il relitto non è stato mai studiato in maniera scientifica per cui si è proceduto ad una valutazione dell’area di dispersione e alle condizioni di giacitura del carico, con le stesse modalità attuate per il primo relitto.

A coordinare le operazioni di indagine è stato l’archeologo della Soprintendenza del Mare, Nicolò Bruno, supportato da Teresa Saitta, archeologa esterna e grande conoscitrice dei fondali catanesi che ha già al suo attivo altre collaborazioni con la Soprintendenza del Mare nonché da Alessandro Barcellona, esperto subacqueo locale. A controllare il buon andamento dell’immersione è intervenuto direttamente il comandante del nucleo subacqueo della Guardia Costiera che ha messo a disposizione il ROV per verificare in situ le condizioni dei due relitti.

“Poter operare a quelle profondità con un veicolo munito di telecamera subacquea e monitor – commenta l’archeologo Nicolò Bruno – ci ha consentito di valutare le condizioni del giacimento archeologico e di indirizzare l’operatore ROV su aree particolarmente importanti per una più approfondita comprensione del relitto. Particolarmente preziosa si è rivelata anche in questo caso la collaborazione con il Nucleo Subacqueo della Capitaneria di Porto grazie alla quale – dopo anni dalla scoperta del relitto – è stato possibile verificare che il carico di anfore si mantiene abbastanza integro, come anche tutti gli elementi in piombo delle ancore e la tubazione plumbea relativa alla pompa di sentina lunga ben 4 metri, che sono rimasti nella stessa posizione di giacitura del 2016”. “La scelta di effettuare una ricognizione sui due relitti è stata dettata anche dalla necessità di acquisire elementi utili a creare itinerari subacquei per un turismo particolare, considerato che nella zona vi sono diving che hanno tutte le caratteristiche per poter operare in profondità.

L’attività della SopMare – sostiene la Soprintendente del Mare, Valeria Li Vigni – è costantemente orientata alla ricerca, tutela e manutenzione degli itinerari e dei siti individuati che vengono protetti attraverso ordinanze di interdizione che provvediamo a richiedere alla Capitaneria di Porto. Il primo relitto, anche se posto a notevole profondità, è in condizione di essere visitato senza alcun intervento, poiché il carico anforario è visibile e ben conservato. Il relitto delle tegole, invece, come constatato dalla ricognizione e dalla documentazione prodotta, ha bisogno di una sostanziale pulitura che servirebbe a far emergere le numerose tegole che, anche se coperte da sabbia, appaiono essere impilate. In quest’ultimo caso non ci troviamo davanti a un vero e proprio scavo subacqueo, ma ad un intervento che, oltre a consentire una migliore fruizione, permetterebbe di studiare più approfonditamente il sito ritrovando elementi utili per una più precisa datazione della nave e del suo carico”.

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