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Il traffico di armi a Licata e quell’arsenale nascosto nei fusti sotto terra

Ed è proprio dai (finora) pochi fatti noti che emerge con forza la circostanza che ci troviamo davanti ad un’inchiesta molto più ampia e che - probabilmente - si arricchirà di ulteriori nuovi colpi di scena

Pubblicato 2 settimane fa



Ci sono almeno due importanti elementi che emergono con estrema chiarezza dall’ultimo blitz a Licata – effettuato negli scorsi giorni dalla Squadra mobile di Agrigento – culminato con l’arresto di quattro persone in seguito a delle perquisizioni a tappeto disposte dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo.

Il primo è la preoccupante e massiccia presenza di armi (anche da guerra) sul territorio con un annesso mercato nero che rifornisce la criminalità più o meno organizzata. Il secondo, invece, è che ci troviamo davanti soltanto alla punta di un iceberg e che l’attività investigativa (finora nota) è parte di un’inchiesta molto più ampia che ha acceso i riflettori sia sui trafficanti di armi e droga che sulle consorterie mafiose che operano in questo lembo di terra. A questi due elementi, infine, ne aggiungiamo un terzo. La capacità delle forze dell’ordine (in questo caso la Squadra mobile) di controllare il territorio in maniera capillare a tal punto da piazzare cimici e telecamere anche nei posti più disparati come può essere – ad esempio – un casolare abbandonato.

Ed è proprio quello che è avvenuto e che ha permesso agli investigatori di rinvenire e sequestrare un vero e proprio arsenale nella disponibilità di Domenico Cusumano e del figlio (anche se con un ruolo di esecutore degli ordini del padre), due dei quattro indagati arrestati dai poliziotti. Il tutto emerge dal provvedimento di convalida del gip Micaela Raimondo con il quale ha disposto il carcere per il primo e i domiciliari per il secondo. Nel fabbricato rurale nella disponibilità di Cusumano gli agenti hanno trovato di tutto: cinque pistole, tre revolver a salve modificate per lo sparo, due fucili, migliaia di munizioni, caricatori, metal detector, ottiche di precisione e addirittura inneschi con polvere da sparo.

L’arsenale veniva diviso e occultato in dei fusti o bidoni che poi venivano nascosti sotto terra, lontano da occhi indiscreti. Almeno nelle intenzioni poiché cimici e telecamere piazzate dalla Squadra mobile hanno svelato non soltanto i nascondigli ma soprattutto portato alla luce anche un vero e proprio mercato delle armi. Le microspie hanno captato diversi dialoghi e incontri di Cusumano con soggetti interessati ad acquistare o riparare pistole: 1.200 euro per comprarla, 600 euro per ripararla. Ed è proprio dai (finora) pochi fatti noti che emerge con forza la circostanza che ci troviamo davanti ad un’inchiesta molto più ampia e che – probabilmente – si arricchirà di ulteriori nuovi colpi di scena. 

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