Agrigento

Migranti: torture, sevizie e omicidi, arrestati tre carcerieri (ft e vd)

di Irene Milisenda e Giuseppe Castaldo La Polizia di Stato di Agrigento, ieri, ha eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo, guidata dal procuratore capo Francesco Lo Voi, a carico di  Mohamed Condè, alias “Suarez” 22 anni della Guinea; Ahmed Hameda, egiziano, di 26 anni;  Mahmoud […]

Pubblicato 5 anni fa

di Irene Milisenda e Giuseppe Castaldo

La Polizia di Stato di Agrigento, ieri, ha eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo, guidata dal procuratore capo Francesco Lo Voi, a carico di  Mohamed Condè, alias “Suarez” 22 anni della Guinea; Ahmed Hameda, egiziano, di 26 anni;  Mahmoud Ashuia, 22 anni anche lui egiziano, tutti sbarcati a Lampedusa lo scorso 29 giugno.

Ahmed Hameda, Mahmoud Ashuia e Mohamed Condè

Gli sviluppi della grave vicenda sono, in questo momento, resi noti nel corso di una conferenza stampa che si sta tenendo in Questura ad Agrigento con il capo della Mobile Giovanni Minardi e l’ispettore Gaetano Fantucchio della Seconda sezione immigrati.

La Squadra
mobile di Agrigento, diretta da Giovanni Minardi ha eseguito il provvedimento nel
quale, a vario titolo, si contestano ai tre extracomunitari,  gravissimi crimini quali associazione per
delinquere dedita alla gestione di un illegale centro di prigionia, collocato
in una ex base militare della città libica di Zawyia, ove centinaia di
migranti, che tentavano di imbarcarsi per raggiungere le coste italiane,
venivano privati della libertà personale e sottoposti a sistematiche vessazioni
e atrocità – attraverso reiterate e costanti violenze fisiche (consistenti in
sistematiche percosse con bastoni, calci di fucili, tubi di gomma, frustate e
somministrazione di scariche elettriche), ripetute minacce gravi (poste in
essere con l’uso delle armi o picchiando brutalmente altri migranti quale gesto
dimostrativo), accompagnate dalla mancata fornitura di beni di prima necessità,
quali l’acqua potabile, e di cure mediche per le malattie lì contratte o le
gravi lesioni riportate in stato di prigionia – al fine di ottenere dai loro
congiunti il versamento, in favore degli stessi associati, di somme denaro
quale prezzo della liberazione e/o della loro partenza verso lo Stato italiano,
ovvero, in assenza del pagamento, venivano alienati ad altri  trafficanti di uomini per il loro sfruttamento
sessuale e/o lavorativo o talora uccisi; associazione finalizzata alla
commissione di una pluralità di gravi delitti, quali tratta di persone,
violenza sessuale, tortura, omicidio, sequestro di persona a scopo di
estorsione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Le
complesse indagini della Squadra mobile hanno preso avvio con la Procura della
Repubblica di Agrigento, coordinate dal procuratore capo Luigi Patronaggio. Con
la concretizzazione, a carico degli odierni fermati, di numerosi ed
inequivocabili indizi di reati di competenza distrettuale, è intervenuto il
coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che, dopo aver
disposto ulteriori approfondimenti, ha ritenuto di procedere al fermo di
indiziato di delitto.

I
fermati, che dopo lo sbarco a Lampedusa erano stati trasferiti presso un centro
di accoglienza di Messina, sono stati individuati e monitorati fino alla serata
di ieri quando il personale della Squadra mobile di Agrigento, preziosamente
collaborato dalla Squadra mobile di Messina, diretta da Antonio Sfameni, ha
proceduto alla loro cattura ed al successivo trasferimento presso la locale casa
circondariale.

Il
personale della Squadra mobile di Agrigento, coordinata dalle Procure di
Palermo ed Agrigento, ha sviluppato una certosina attività investigativa tra
Lampedusa, Agrigento, Castelvetrano, Marsala ed altri Comuni della Calabria, riuscendo
a raccogliere tra i migranti, diverse testimonianze ritenute attendibili,
concordanti e puntuali, che hanno permesso l’emissione dell’odierno
provvedimento restrittivo.

Tra le
dichiarazioni raccolte, si evidenziano alcuni passaggi che testimoniano la
gravità degli accadimenti per i quali si procede:

“Tutte le donne che erano con noi, una
volta alloggiati all’interno di quel capannone sono state sistematicamente e
ripetutamente violentate dai 2 libici e 3 nigeriani che gestivano la struttura.
Preciso che da quella struttura non si poteva uscire. Eravamo chiusi a chiave.
I due libici e un nigeriano erano armati di fucili mitragliatori, mentre gli
altri due nigeriani avevano due bastoni.

Le condizioni di vita, all’interno di
quella struttura, erano inaudite. Ci davano da bere acqua del mare e, ogni
tanto, pane duro. Noi uomini, durante la nostra permanenza all’interno di
quella struttura venivamo picchiati al fine di sensibilizzare i nostri parenti
a pagare loro delle somme di denaro in cambio della nostra liberazione. Di
fatto avveniva che, i predetti organizzatori ci mettevano a disposizione un
telefono col quale dovevamo contattare i nostri familiari per dettare loro le
modalità con il quale dovevano pagare le somme di denaro pretese dai nostri
sequestratori. Ho avuto modo di apprendere che la somma richiesta dagli
organizzatori in cambio della liberazioni di ogni di noi, si aggirava a circa
10000 dinari libici. Io, malgrado incitato a contattare i miei familiari, mi
sono sempre rifiutato, Proprio per questo motivo sono stato oggetto di
bastonate da parte loro. Preciso che, in occasione di un mio rifiuto, un nigeriano,
con il calcio della pistola, dopo che mi ha immobilizzato il pollice della mia
mano destra su un tavolo, mi ha colpito violentemente al dito, fratturandolo.
Durante la mia permanenza all’interno di quella struttura ho avuto modo di
vedere che gli organizzatori hanno ucciso a colpi di pistola due migranti che
avevano tentato di scappare.”

“Durante la mia permanenza all’interno di
quella struttura, a causa delle mie rimostranze contro la mia ingiusta
detenzione, sono stato più volte picchiato. Ho subito delle vere e proprie
torture che mi hanno lasciato delle cicatrici sul mio corpo. Specifico che sono
stato frustato tramite fili elettrici. Altre volte preso a bastonate, anche in
testa.”

“l’uomo –  omissis – 
era spregiudicato, in quanto picchiava tutti i prigionieri e li
torturava, frustandoli con i cavi elettrici; li bastonava servendosi di tubi in
gomma.”

Eravamo tutti
sottoposti a continue violenze e torture da parte dei nostri carcerieri, poiché
pretendevano il pagamento di una somma di denaro, da parte dei  parenti, in cambio della nostra liberazione.
Chi non pagava veniva torturato con la corrente elettrica. Ti davano delle
scosse che ti facevano cadere a terra privo di sensi. Ho assistito
personalmente a tanti omicidi avvenuti con la scossa elettrica. Succede che ti
forniscono un cellulare con il quale contattare i parenti per esortarli a
pagare il riscatto. Laddove non si ricevevano le somme richieste il migrante
veniva poi ucciso.”

“Io sono stato picchiato più volte, anche senza alcun motivo apparente. Noi migranti venivamo picchiati tramite un tubo di gomma che ci procurava tanto dolore e, alcune volte, anche delle ferite. Personalmente, all’interno di quel carcere, ho avuto modo di vedere che un migrante è deceduto a causa della fame. Era malnutrito e nessuno prestava a lui la necessaria assistenza. Ho visto, anche, tanti altri migranti ammalati che non venivano sottoposti alle cure necessarie. Ho visto che un carceriere, tale omissis, una volta, ha sparato e colpito alle gambe un nigeriano, colpevole di aver preso un pezzo di pane. Ho avuto modo di vedere che, tante volte, nel corso della giornata, le donne venivano prelevate dai carcerieri per essere violentate. Da questa prigione si usciva solamente se si pagava il riscatto. Chi non pagava, al fine di sollecitare il pagamento, veniva ripetutamente picchiato e torturato.”

L’intervista al capo della Squadra mobile di Agrigento, Giovanni Minardi

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