Mafia

Mafia, pizzo a tappeto ma solo la metà lo denuncia: 21 arresti

Nell'indagine soltanto la metà degli imprenditori ha denunciato le estorsioni

Pubblicato 2 anni fa




Sono 21 le ordinanze di custodia cautelare della custodia in carcere emesse dal Gip di Catania nell’ambito dell’operazione antimafia della polizia, coordinata dalla Dda, per disarticolare il clan Santapaola-Ercolano. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di estorsione, tentata rapina, ricettazione, intestazione fittizia di beni, tutti reati aggravati dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa di appartenenza. Le indagini sono state avviate in seguito al tentativo di estorsione nei confronti di un noto ristoratore catanese che, nell’agosto 2019, era stato ripetutamente minacciato. All’imprenditore erano state anche recapitate due cartucce calibro 7.65.

Questi i nomi delle 22 persone arrestate nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catania sulla cosca di Lineri legata al clan mafioso Santapaola – Ercolano, alcuni dei quali già detenuti per altri reati. Alfio Currao, di 55 anni, Fabrizio Currao, di 30, Alessandro Di Stefano, di 22, Antonio Di Stefano, di 44, Giuseppe Donato, di 48, Alessandro Natale Donato, di 20, Domenico Geraci, di 57, Salvatore Gianluca Geraci, di 33, Salvatore Guglielmino, di 57, Vincenzo Guidotto, di 42, Carmelo Litrico, di 49, Nunzio Mammino, di 45, Lorenzo Pinnavaria, di 31, Salvatore Pinnavaria, di 25, Alfio Rannesi, di 26, Carmelo Rannesi, di 58, Girolamo Rannesi, di 60, Giuseppe Rannesi, di 53, Salvatore Rannesi, di 55, Francesco Toascano, di 57 e Pietro Vittorio, di 44.

Gli investigatori avrebbero identificato i responsabili in Nunzio Mammino e Alessandro Di Stefano, che farebbero parte di una articolazione territoriale del clan Santapaola – Ercolano, denominata Squadra di Lineri, radicata nell’area nord di Catania, e guidata storicamente da Giuseppe Pulvirenti detto “u Malpassotu”, e dal genere Giuseppe Grazioso detto “Pippo”.

Le indagini hanno consentito di ricostruire l’organigramma della cosca, il cui vertice sarebbe stato individuato in Girolamo Rannesi, coadiuvato dai fratelli Salvatore e Giuseppe e legato da vincoli di parentela con Giuseppe Grazioso. Allo stesso modo, sarebbero stati identificati i gregari dell’organizzazione, che si occupavano della riscossione delle estorsioni, della commissione di rapine e di altre attività illecite. Gli investigatori hanno sequestrato anche la cosiddetta “carta delle estorsioni”, con l’elenco delle attività commerciali taglieggiate, mascherate attraverso l’indicazione che si trattava di numeri da giocare all’enalotto con l’evidente fine di depistare le indagini. In particolare sono state individuate una ventina di attività imprenditoriali che da anni versavano alla cosca ingenti somme di denaro. Secondo una prima stima l’organizzazione incassava da ogni imprenditore in media la somma di 250 euro mensili, con un profitto annuale di circa 70mila euro. Il provvedimento restrittivo ha colpito anche i beni patrimoniali degli indagati, disponendo il sequestro di un’attività commerciale, intestata a prestanome ma di fatto riconducibile alla famiglia Rannesi, nonché autoveicoli nella disponibilità dei soggetti organici alla cosca.

“E’ inconcepibile che ancora oggi, nonostante l’efficacia e l’incisività dell’azione di contrasto espletata dallo Stato, esistano parti offese che si ostinano a non denunciare, addirittura dichiarando il falso”. Lo afferma il direttore centrale Anticrimine della Polizia, il prefetto Francesco Messina, sull’operazione ‘Sabbie mobili’, coordinata dalla Dda di Catania, che ha disarticolato il clan di Lineri legato alla ‘famiglia’ mafiosa Santapaola-Ercolano. “La lotta alla criminalità organizzata – aggiunge Messina – non può essere delegata esclusivamente alle forze dell’ordine e alla magistratura. La sicurezza è di tutti e l’unica protezione è quella fornita dallo Stato. Cosa nostra non fornisce protezione, commette delitti e inquina le libertà economiche. Non denunciare di essere vittima di estorsione è un comportamento che potrebbe essere talvolta ai limiti della rilevanza penale. Colpisce – sottolinea Messina – in questa indagine, che su 32 estorti, solo 16 abbiano ritenuto di contribuire con le loro denunce all’accertamento della verità da parte nostra”

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